martedì 7 marzo 2023

Come non piangere



Come non piangere

a cura di Sergio Natoli omi

 

Alle 4 del mattino del 27 febbraio il barcone, con a bordo almeno 150 migranti, sotto le onde tempestose del mare, si è spezzato in due a 100 metri dalla spiaggia. 81 persone sono arrivate sulla spiaggia al sorgere del sole. Per loro è la speranza di una nuova vita che comincia!

I corpi galleggiano come fuscelli tra le alte onde del mare sono già 70 quelli che giacciono in fondo al mare e se ne prevedono molti di più. La spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria sotto i teli bianchi raccoglie i corpi dei naufraghi e quelle dei sopravvissuti.

Anche il nostro cuore si è spezzato con quel bancone e si spezza ogni volta che un barchino o un’altra barca naufraga con i suoi disperati; ogni volta che un bambino, una donna incinta, un uomo è inghiottito dal mare. Il mare mediterraneo è un cimitero che in questi ultimi 9 anni custodisce 25.000 cadaveri.

Come non piangere con quanti in questo naufragio hanno perso un figlio, una madre, un fratello o un padre.

Come non piangere di fronte alle situazioni di guerre - sono ben 46 quelle in atto nel mondo - che destabilizzano la convivenza umana a favore del business della vendita delle armi e producono milioni di rifugiati!

Come non piangere di fronte all’ottusaggine di quanti continuano a immettere nell’atmosfera tutti quei veleni che hanno contribuito a inquinare la nostra atmosfera a favore del profitto inconsiderato.

Come non piangere di fronte alle politiche economiche che mirano a non far crescere i poveri dei tanti Sud del mondo attraverso le conquiste di terre e l’espansione di una cultura secolarizzata che fa morire ogni forma di valore umano e spirituale.

Come non piangere quando i popoli socialmente sviluppati, sono preoccupati della “sicurezza nazionale” a scapito di una visione planetaria e armoniosa della convivenza umana.

Don Pierpaolo Felicolo, Direttore della Fondazione Migrantes, scrive: “Storie che chiedono un rinnovato impegno di solidarietà e di responsabilità, perché sia vinta l’indifferenza che fa dimenticare queste tragedie, perché sia finalmente superato un disimpegno per una nuova stagione umanitaria che accompagna e non abbandona persone in fuga da primavere e inverni umani. Sono nostri figli e fratelli. E difendere la loro vita è sacro” (Comunicato Stampa del 06/2023 del 27 feb. 2023).

Mons. Giancarlo Perego, presidente della CIMI e della Fondazione Migrantes, nel suo comunicato stampa, afferma: “Un nuovo drammatico segnale sulla disperazione di chi si mette in fuga da situazioni disumane di sfruttamento, violenza, miseria e di chi è indifferente politicamente a questo dramma. Un nuovo drammatico segnale che indebolisce la Democrazia, perché indebolisce la tutela dei diritti umani: dal diritto alla vita al diritto di migrare, al diritto di protezione internazionale. Mentre queste morti non possono che generare vergogna, chiedono un impegno europeo per un’operazione Mare nostrum, che metta strettamente in collaborazione le istituzioni europee, i Paesi europei, la società civile europea rappresentata dalle ONG” (Comunicato Stampa del 05/2023 del 26 feb. 2023).

Dinanzi a queste lacrime e molte altre ancora, a noi operatori pastorali della Migrantes, che camminiamo con i migranti, vorremmo che i governanti promuovano leggi inclusive e non esclusive dei migranti; che siano incrementati i finanziamenti della ONG che operano nei SUD del mondo, affinché crescano i programmi di autosviluppo; che l’approccio al fenomeno migratorio sia rispettoso dei diritti della persona e siano snellite le pratiche amministrative per la regolarizzazione del loro inserimento in Europa.

Come cristiani che mettono al centro l’uomo, e come operatori della pastorale migratoria, continuiamo a renderci disponibili ad una piena e completa collaborazione con le autorità competenti, per contribuire alla costruzione della speranza di quanti per motivi diversi, arrivano nella nostra terra.

 

Palermo, 28 febbraio 2023

 

 

sabato 1 ottobre 2022

2022 Epifania dei migranti


Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”.

 

Oggi tutta la chiesa, in ogni angolo del mondo, celebra la 108° Giornata Mondiale per il Migrante ed il Rifugiato. Papa Francesco attira l’attenzione di tutti sul fenomeno delle migrazioni che è sempre più globale ed interessa 281 milioni di persone [1]. Nella prima metà del 2021, le persone costrette nel mondo a fuggire a causa di violenze, guerre, insicurezza e degli effetti dell'emergenza climatica[2] sono state più di 84 milioni.

Anche noi nella nostra città vediamo la presenza di migranti e di rifugiati che riempiono sempre di più la vita e le strade della nostra città che si colorano di arcobaleno. Sono circa 24.000 i cittadini stranieri pari al 3,7% della popolazione residente.

Quest’anno la celebrazione della festa del Beato J.D. Laval, apostolo dei Mauriziani s’inserisce in questo grande evento della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.

Il giovane medico Laval, giunge a Mauritius 14 settembre 1841. Non avrebbe immaginato che oggi nel 2022, la chiesa con la sua diversità culturale avrebbe celebrato il suo impegno apostolico, in diverse parti del mondo. Noi ne siamo un esempio.

“Il senso ultimo del nostro “viaggio” in questo mondo è la ricerca della vera patria, il Regno di Dio inaugurato da Gesù Cristo, che troverà la sua piena realizzazione quando Lui tornerà nella gloria”.[3]

P. Laval nel suo instancabile sevizio al popolo, ha fatto un meticoloso lavoro di conversione personale e di trasformazione della realtà. Il suo impegno nella costruzione di cappelle e nella organizzazione della formazione e della catechesi erano un punto importane del suo servizio.

Aspettando nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3,13): p. Laval ha praticato la giustizia con pazienza, sacrificio e determinazione, affinché tutti coloro che ne hanno fame e sete potessero esserne saziati (cfr Mt 5,6), come afferma la scrittura.

Il progetto apostolico e missionario di P. Laval è stato un progetto inclusivo mettendo al centro gli abitanti delle periferie esistenziali: in modo particolare il mondo degli schiavi e della tratta.

In “una visione profetica di Isaia, gli stranieri non figurano come invasori e distruttori, ma come lavoratori volenterosi che ricostruiscono le mura della nuova Gerusalemme, la Gerusalemme aperta a tutte le genti (cfr Is 60,10-11). Nella medesima profezia l’arrivo degli stranieri è presentato come fonte di arricchimento.

In effetti, la storia ci insegna che il contributo dei migranti e dei rifugiati è stato fondamentale per la crescita sociale ed economica delle nostre società. E lo è anche oggi. Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono”[4]

 

Quali decisioni vanno prese subito per costruire già oggi un futuro inclusivo e migliore per tutti? Indico solo alcune piste d’impegno.

1.        Come p. Laval anche oggi dobbiamo essere impegnati nella lotta alla tratta di persone. È un fenomeno triste presente anche nella nostra città. Ma ci sono anche delle forme sottili di schiavitù come ad esempio la compra vendita dei permessi di soggiorno e delle opportunità di lavoro; il prestito di denaro con interessi usurai, le concorrenze spietate tra persone della stessa cultura che nella gelosia soffocano i più fragili.

2.        Il Beato Laval pur vedendo le grandi difficoltà ed i tanti problemi in cui versavano i più fragili ed i più deboli, ha scelto di far parte della soluzione e non del problema. Scegliere la soluzione vuol dire vivere e rasmettere ai giovani i valori importanti della vita e della convivenza civile, quali la difesa dei diritti umani, la cura dell’ambiente e l’armonia tra le varie culture.

3.        Il Beato Laval si è pienamente inserito nel contesto socio-culturale dell’isola Mauritius, camminando con la gente e crescendo insieme come umanità e prendendo consapevolezza del significato di inclusione sociale e del significato di discriminazione. Da “straniero” non si è rifugiato in un’isola felice pensando solo a sé stesso ma si è impegnato attivamente nella eliminazione delle tante forme di discriminazioni.

Ma oggi quante e quali sono le discriminazioni presenti nel nostro contesto socio-culturale? Non possiamo rinchiuderci nel privato, nel nostro “benessere” sganciato dal cammino dell’umanità in cui siamo inseriti. La società che accoglie i migranti non è “una mucca da mungere”! Ed i migranti non sono i nuovi “schiavi” da sfruttare in tutti i settori della vita sociale. Possiamo crescere e camminare insieme come società cercando di raggiungere le persone che sono nel bisogno.

4.        Il Beato Laval, annunciando il Vangelo ha fatto crescere la chiesa mauriziana, accogliendo le diversità di espressioni di fede e di devozioni. È quanto possiamo vivere anche noi oggi. È un’occasione per crescere in cattolicità, dando uno spazio di preghiera a tutti anche alle persone di religioni diverse.

5.        “Il futuro comincia oggi, e comincia da noi. Non possiamo lasciare alle prossime generazioni le responsabilità delle decisioni. I giovani devono essere protagonisti di questo nuovo inizio. Come Chiesa, come Parrocchia, siamo impegnati a rendere i migranti ed i rifugiati più partecipi del cammino delle nostre comunità cattoliche e questa celebrazione odierna è un’occasione in cui questa volontà è visibile e si realizza. Lo facciamo attraverso l’accoglienza di tutti con le diversità di ciascuno: questa parrocchia vuole essere “la casa di tutti i popoli”. E si cerca di farlo trattando tutti come uguali, lavorando e celebrando insieme, senza guardare ai migranti come persone di seconda classe; sapendo che ognuno ha la vita di Dio dentro di sé; incoraggiando a vivere la partecipazione attiva alla vita della chiesa.

6.        Beato Laval sii sempre per tutti, ma specialmente per i mauriziani, sorgente di novità di vita, di quella vita che Gesù ha portato e che ci rende capaci di essere costruttori dei “cieli nuovi e della terra nuova” in questo territorio, in questa città.

 

                                                                       p. Sergio Natoli omi



[1] Rapporto OIM, undicesimo rapporto World Migration Report dell'OIM, 2022

[2] UNHCR Italia, Mid-Year Trends

[3] Papa Francesco, Messaggio per la 108° GMR&R, 09 maggio 2022

[4] Papa Francesco, Messaggio per la 108° GMR&R, 09 maggio 2022

domenica 13 giugno 2021

Che fatica essere uomin



Che fatica essere uomini

A cura di Sergio Natoli omi

 

Nel 1988 Sergio Endrigo esordì con questo canto nel quale, dopo aver visto cose strane nel cielo e sulla terra, affermava “Che fatica essere uomini” e concludeva: Partirà, la nave partirà. Dove arriverà, questo non si sa. Sarà come l'Arca di Noè, il cane, il gatto, io e te”.

In un mondo soggiogato dall’economia, dal potere politico e dall’immagine è fatica essere uomini. È fatica essere “persone”.

È fatica non rimanere prigionieri di un “io” plurale che schiaccia persone e popoli. L’io delle multinazionali, dei dittatori di turno, etc.

È fatica essere persone “in relazione” capaci di costruire armonie interpersonali e di inter-indipendenti. “Il “noi” non è un “io” grande. Il “noi” è il grande contenitore di quella vita in relazione che costituisce l'umano e l'umano non può che essere questo “io” in relazione.[1]

È fatica essere uomini capaci di riconoscere le libertà fondamentali dell’altro, di altri gruppi umani, di altri popoli che scelgono di andare a vivere in un angolo della terra diverso da quello dove sono nati.

È fatica essere uomini leali, aperti e capaci di riconoscere gli errori della politica espansionistica che ha prodotto e continua ad alimentare le mille forme di schiavitù che costringe milioni di uomini e donne a migrare, a cercare una speranza di vita migliore. Una speranza che li rende audaci, intrepidi, capaci di varcare frontiere e mari per iniziare una nuova vita.

È fatica essere uomini in questo tempo di pandemia, in un mondo che

 

è già un altro: non dobbiamo aspettare che cambi, è già un altro. Nessuno sa se questo nuovo mondo, dentro cui camminiamo, sarà in grado di trasformare in impulso positivo quel sentimento di reciprocità, di solidarietà che la pandemia ha fatto vedere, e cioè la consapevolezza che siamo legati gli uni agli altri, anche se questo sistematicamente lo neghiamo”.

 

È fatica essere uomini quotidianamente martellati dall’informazione sui continui sbarchi e sui continui naufragi di barconi con il loro carico umano in fuga dalle mille forme di schiavitù, ma che spesso, purtroppo, trovano il riposo eterno in fondo al mare.

È fatica essere uomini che, come cristiani, ci lasciamo fecondare e guidare dall’azione dello Spirito Santo che ci rende capaci di mettere l’altro al centro della vita. Lo stesso Spirito, di cui profetizzò Ezechiele, entra dentro l'umano e rende possibile all' umano ciò che all'umano è impossibile.

 

“Dobbiamo praticare un cristianesimo che cerca Dio dove Dio non c'è, perché se continuiamo a cercare Dio dove Dio c'è e certo che lo troviamo. Sì, lo preghiamo, e Dio adesso ci dice: è venuto il tempo di trovarmi dove non ci sono perché dove non ci sono mi devi portare tu. Sì, in un barcone di migranti che rischia di morire. Dio lì non c'è perché se ci fosse questi sarebbero salvi. Dio c'è quando questi vengono salvati. Allora se accade che questi vengono salvati, ecco che Dio si fa presente. Chi sono questi che hanno reso presente Dio questi che li hanno salvati? Sono i profeti di oggi.”[2]

 

Quanto è attuale in ogni ambito della vita ma specialmente nel rapporto con i migranti, quanto affermato da S. Giovanni della Croce: “Là dove non c’è Amore, metti Amore e troverai Amore”.

L’accoglienza di Gesù morto e risorto svuota il nostro “io” e ci rende audaci discepoli ed intrepidi apostoli nell’oggi del mondo. È l’esperienza di S. Paolo quando ai Galati dice: “non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.”[3]

Nell’andare verso i migranti, come anche nell’accoglierli, come cristiani viviamo l’incontro dell’Amore. Allora l’immigrato non è più visto come “hostes”, come uno che attenta alla nostra sicurezza, quanto piuttosto come “hospes” come un ospite che porta Dio tra di noi. In questo nostro tempo, nello scorrere della storia come “kronos”, entra il “kairos” come tempo della grazia, come occasione favorevole, opportunità di cambiamento per vivere la “charis”, come prossimità, frammento di eternità, germoglio dei “cieli nuovi e della terra nuova”. Vivere questo significa vivere il tempo del Regno di Dio tra noi, del “noi più grande”.[4]

Possiamo dare il nostro contributo portando i nostri “cinque pani e due pesci” al Signore della storia per rispondere al bisogno di salvezza di chi cerca speranza, facendo tutto ciò che ci è possibile fare, sapendo sempre che “se il Signore non costruisce la casa invano fatica i costruttore.[5]

Noi siamo certi che “la speranza non delude”, che il Signore è con noi nella barca della nostra vita che naviga in un mare in tempesta. Allora la nave partirà ma questa volta dentro non ci saranno “il gatto, in cane io e te”, ma ci sarà la famiglia umana.

Palermo, 19 maggio 2021



[1] Mauro Magatti, Verso un noi sempre più grande, Incontro con la Diocesi di Agrigento, 11 maggio 2021

[2] Mons. Antonio Staglianò, Verso in noi sempre più grande, Incontro con la diocesi di Agrigento,18 maggio 2021

[3] Gal. 2, 20

[4] Cfr. Impellizzeri-Lorefice, L’ospite porta Dio tra noi, Il Pozzo di Giacobbe, 2021, p. 55

[5] Salmo 127, 1

sabato 30 gennaio 2021

2020 09 Guarire il mondo


Vorrei che questo cammino non finisca con queste mie catechesi, ma che si possa continuare a camminare insieme, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,2), come abbiamo sentito all’inizio; lo sguardo su Gesù che salva e guarisce il mondo. Come ci mostra il Vangelo,

* Per il video della celebrazione: https://bit.ly/2GaWr9m 65

Gesù ha guarito i malati di ogni tipo (cfr Mt 9,35), ha dato la vista ai ciechi, la parola ai muti, l’udito ai sordi. E quando guariva le malattie e le infermità fisiche, guariva anche lo spirito perdonando i peccati, perché Gesù sem- pre perdona, così come i “dolori sociali” includendo gli emarginati.1 Gesù, che rinnova e riconcilia ogni creatura (cfr 2 Cor 5,17; Col 1,19-20), ci regala i doni necessari per amare e guarire come Lui sapeva fare (cfr Lc 10,1-9; Gv 15,9-17), per prendersi cura di tutti senza distinzioni di razza, lingua o nazione.


giovedì 21 gennaio 2021

2020 08 Guarire il mondo


Senza contemplazione, è facile cadere in un antropo- centrismo squilibrato e superbo, l’“io” al centro di tut- to, che sovradimensiona il nostro ruolo di esseri umani, posizionandoci come dominatori assoluti di tutte le altre creature. Una interpretazione distorta dei testi biblici sul- la creazione ha contribuito a questo sguardo sbagliato, che porta a sfruttare la terra fino a soffocarla. Sfruttare il creato: questo è il peccato. Crediamo di essere al centro, pretendendo di occupare il posto di Dio e così roviniamo l’armonia del creato, l’armonia del disegno di Dio. Diven- tiamo predatori, dimenticando la nostra vocazione di cu- stodi della vita. Certo, possiamo e dobbiamo lavorare la terra per vivere e svilupparci. Ma il lavoro non è sinonimo di sfruttamento, ed è sempre accompagnato dalla cura: arare e proteggere, lavorare e prendersi cura... Questa è lanostra missione (cfr Gen 2,15). Non possiamo pretendere di continuare a crescere a livello materiale, senza prender- ci cura della casa comune che ci accoglie. I nostri fratelli più poveri e la nostra madre terra gemono per il danno e l’ingiustizia che abbiamo provocato e reclamano un’altra rotta. Reclamano da noi una conversione, un cambio di strada: prendersi cura anche della terra, del creato.